13.11.2015 SportWeek

Storia di Evaristo, il massimo del pugilato
di Luca Bergamin
SportWeek, 14.11.2015
Evaristo Gallego siamo un po’ tutti noi. Anche se non facciamo i pugili, se la boxe l’abbiamo vista soltanto in televisione e per di più tanti anni fa, quando ancora la trasmettevano in orari decenti. Merito della prosa e anche un po’ della poesia del ring di Luca Delli Carri e del suo Il re della festa: è come se avesse “applicato” il metodo Stanislavskij alla letteratura, trascorrendo due anni intensi insieme a una colonia di pugili.
Ha annusato l’odore, il sudore, l’umidità che i corpi umani – e anche le pareti ammuffite – sprigionano in quel sottobosco metropolitano che è la boxe. Capendo subito che la palestra è come la casa dei genitori in cui il pugile torna sempre e, appunto, che i boxeur in fondo sono come bambini: sempre senza colpe, sempre irresponsabili. E che questo sport, come la vita, è pieno di problemi. Per questo è tanto amato: fa disperare ma dà anche tante soddisfazioni. La massima filosofica più preziosa e appunto applicabile anche fuori dal quadrato, specialmente dal “nostro” Evaristo Gallego, è che vince chi sa aspettare. Un pugile deve stare calmo, saper attendere l’occasione. Ecco, questa è una dote che possiede il protagonista del libro, diviso in dodici round/capitoli.
L’io narrante, nonché scrittore intenzionato a raccontare la storia di questo peso massimo, e il pugile protagonista del romanzo si incontrano nel bar di una stazione di servizio alle porte di Cassino: Evaristo ha infilato sopra la testa un cappello da cow boy in cuoio e sulla faccia stampata «una risata giullaresca». Lì comincia il loro viaggio insieme e, forse, anche un’amicizia vera (questo però non si capisce mai fino in fondo). Gallego sa farsi voler bene, prima di tutto per il suo modo di boxare, anche soltanto in allenamento: gesti atletici belli, puliti, colpi secchi e duri, la guardia alta, il guantone destro incollato al mento, la velocità dei movimenti di una massa di muscoli distribuiti in tutto il corpo anche se il sedere è un po’ stretto; anche i versi che emette dalla bocca a ogni azione contribuiscono a farne un personaggio. Non è però “solo” un pugile che prepara il match per il titolo mondiale, bensì anche una persona di grande fascino, guascone sincero, umile e nella stessa misura sbruffone, che piace alle donne (la ragione è facilmente intuibile) e più misteriosamente anche agli uomini. Il motivo risiede forse in queste parole, semplici se volete, ma assolutamente vere, che Gallego dice al ristorante: «Ne ho combinate talmente tante che uno normale, per fare ciò che ho fatto io in quarant’anni, dovrebbe vivere tre vite… la vita in certi momenti è una merda, ma vale sempre la pena di essere vissuta… E ho ancora voglia di godermela, perché oggi ci sei, domani chi lo sa». Poi nella storia compare Anouchka, l’ultima donna di Evaristo, un’ex modella dagli occhi da gatta, le labbra di corallo, alta, magrissima, sensuale: l’uno travestito di muscoli, l’altra truccata di aggressività, in realtà, quando si spogliano della maschera, sono due esseri teneri e dolci. Ma non pensiate che sia un incontro facile quello tra il pugile e la sua amante. Anche perché c’è il match per la cintura iridata da preparare. E poi la depressione, il buen retiro in Messico, il ritorno. Tante cose accadono. E un solo filo conduttore, che si può riassumere con questa citazione dal libro: «Il pugile è una solitudine che danza sul ring, un canto d’amore ma un canto triste. Nel suo picchiare ed essere picchiato c’è un eterno richiamo alla frantumazione della bellezza».