29.10.2015

«Pensai che amplificare la sofferenza subita, tenere
vivi i mostri, desse loro modo di superare le difficoltà.
Non cercavano di dimenticarla, anzi continuavano a riproporla.
Parlarne era come tenere aperta la ferita. Sentendola
sempre viva, sentendosi sempre soli, riuscivano
ad affrontare l’asprezza dell’allenamento, a trovare
la fiducia in sé e a immaginarsi sul ring, la sera del
match, nel pieno delle proprie facoltà. È per questo, forse,
che nei loro sguardi c’è una sorta di malinconia.
Il pugile è una solitudine che danza sul ring, un canto
d’amore ma un canto triste. Nel suo picchiare ed essere
picchiato c’è un eterno richiamo alla frantumazione
della bellezza».
(da: Il re della festa. Primo brano letto da Antonio Franchini durante la presentazione inaugurale del libro, a Milano)
foto © Fabio Bozzani