16.11.2015
L’italiano è un peso piuma, antipatico e presuntuoso, ha una boxe primitiva e gli manca il colpo risolutore. Ma è italiano e il pubblico lo applaude.
L’avversario è un collaudatore francese con tre vittorie e tredici sconfitte – all’opposto il record dell’italiano: diciotto vittorie a due. È tecnico e ha le braccia lunghe. Non è muscoloso, ma quasi mai i collaudatori hanno il fisico scolpito dei pugili in carriera, piuttosto un corpo morbido abituato a consumare poco; così sono quelli che vengono dall’est, soprattutto.
È un match talmente brutto che potrebbe toglierti la voglia di guardare ancora la boxe.
I colpi dello straniero sono telefonati. L’italiano vince con facilità e poi si mette arrogante a tripudiare.
Nello spogliatoio, dopo. Il pugile e il suo stagionato allenatore, soli.
Sono seduti su una panca di legno.
Dal palazzetto vengono i rumori del pubblico e del nuovo match.
I lividi gli stanno già cominciando a uscire. Una bugna sulle costole, segni rossi in faccia. – È stata una brutta serata, dice il ragazzo.
– Hai incontrato i più forti pugili francesi, non hai mai vinto ma hai disputato dei bellissimi match, dice l’allenatore; oggi no.
– Ero lento, dice il ragazzo.
– Eri lento e non facevi male.
– Vedevo i suoi colpi ma le braccia non partivano.
– Sei un bravo pugile, ma stasera non eri tu.
Il ragazzo, lo sguardo nel vuoto, annuisce.
– Se fossi stato bene avresti fatto un bel match, dice l’allenatore, un uomo robusto e atticciato, i capelli bianchi, la faccia vissuta e gli occhi buoni.
– Lo sai, io combatto per passione, non per soldi, dice il ragazzo. La boxe non è il mio lavoro, io ho un lavoro. Mi è dispiaciuto non offrire un bello spettacolo, ma non c’ero con la testa, e non so il perché.
Il suo sguardo incrocia quello dell’allenatore. Gli occhi sono dolci e avviliti. – Se devo combattere così, smetto, dice.
L’allenatore lo sta guardando, in silenzio.
– È troppo triste combattere così, dice il ragazzo.