Just One of Those Things

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Ok. Se avete lanciato la musica, come penso, possiamo cominciare. Altrimenti lanciatela e tornate qui.
Ieri è stata una di quelle giornate di cui parla questa musica, una di quelle che intendeva Cole Porter e che Billie Holiday sentiva al punto da darle un’anima in forma di voce. Ieri, abbiamo presentato Il re della festa, a Milano.
A volte mi sorprendo a subire ancora l’incanto di certe cose, di certi momenti. Forse dovrei essere più disincantato. Forse un giorno lo diventerò. Ma anche l’incanto è bello, è importante. Anzi è una fortuna, perché è qualcosa di speciale.
Ieri c’erano tutte le persone che contavano, per me. Gli amici. Con loro, tutti insieme, abbiamo dato vita a qualcosa che non è stata una semplice presentazione. Abbiamo cercato di portare in teatro la magia della boxe e della letteratura assieme. Penso che ci siamo riusciti.
Giacobbe Fragomeni, un fratello, e Matteo Azzali, sono stati protagonisti di un’esibizione di boxe, una sessione di guanti, nel foyer del Franco Parenti. L’occhio di bue su di loro, il buio intorno. La gente con gli occhi sgranati, il rumore dei colpi, dell’ansimare dei corpi. Fabio Bozzani, il fotografo della Gazzetta, faceva scattare il suo apparecchio. Due round. Bellissimo.
Poi Antonio Franchini ha presentato il libro, con un calore che mi ha sorpreso, facendomi sentire imbarazzato come se fosse la prima volta. Quando ha definito “ultimate”, all’inglese, il libro, riferendosi alla boxe, cioè allo sfondo della storia, mi ha riempito di gioia, perché la definizione veniva da uno dei più fini conoscitori italiani della letteratura contemporanea, scrittore egli stesso, e amante degli sport da combattimento, cui ha dedicato un pregevole libro, Gladiatori.
C’erano i pugili, non potevano mancare. Questo è un romanzo, presentazioni così non ce ne saranno più. Le prossime si parlerà di libri, di stile, di letteratura. Ma questa era anche, soprattutto una festa. La festa del libro e di chi lo ha reso possibile.
C’era Giacobbe, c’era Totò Moscatiello. E poi c’erano Rocky Mattioli, Eddy Buttiglione, Aristide Pizzo. Tutti pugili, professionisti. Gente vera, che stimo e rispetto. C’era Franco Marinoni, una persona speciale, un grandissimo amante e conoscitore di boxe. C’era Daniele Redaelli, uno dei più influenti e importanti giornalisti di boxe italiani, uno che al pugilato ha voluto bene davvero.
C’era anche qualcuno che mancava: Ottavio Tazzi, e Giovanni Parisi. Li abbiamo ricordati.
C’erano la mia famiglia, i miei genitori, i miei fratelli, e gli amici che contano, quelli che non perdono l’occasione per dirti che non sei solo, Paolo, Alberto, Nando, Gianluca, Gippo. Grazie, ragazzi.
C’era chi mi ha fatto scrivere il primo articolo della mia vita, ormai un quarto di secolo fa, dando inizio a una piccola storia, la mia, che mi ha portato a divenire prima giornalista e poi anche scrittore: l’Artemi – e lo dico col cognome perché nei giornali non c’è mai tempo da perdere e ci si chiama così, per cognome, anche quando si diventa amici veri.
C’erano poi tanti altri amici, che hanno voluto onorarmi della loro presenza, e un pubblico che non conoscevo e che era attirato dal libro: anche a voi, grazie di essere venuti.
Abbiamo fatto segnare un record in casa Neri Pozza: per la prima volta, i libri che avevano portato sono andati esauriti. Di solito gli editori devono riportarseli a casa. Sì!
A Davide Marostica, il reporter della Gazza che ci ha mandato Umberto Zapelloni, devo un grazie per il bellissimo pezzo che ha scritto oggi. Parole toccanti.
Chi c’era lo sa, alla fine ho chiamato due persone speciali, per me e Giacobbe. Ho voluto farlo, perché questo libro è tante cose – un libro sulla boxe, un grande romanzo di vita, la storia di un’amicizia. Ho chiamato Giulia e Letizia. Fossi stato disincantato non l’avrei fatto. Sono contento di non esserlo.