Solo in battaglia – l’incipit

«Gronda sudore ed è stravolto dallo sforzo. Trasfigurato. La bocca aperta per portare più ossigeno ai polmoni, le guance scavate e la pelle tirata, quasi a rinsecchirsi. La testa nuda, lucida, bagnata, che appare più grande di quello che è. Gli occhi duri, puntati dritti davanti a sé, alla salita.

Le braccia compiono movimenti ampi e lenti. Le mani appese alle racchette si tirano dietro il corpo. Le gambe pendolano, avanti e indietro, avanti e indietro, con i quadricipiti che si gonfiano e danno leggerezza al corpo, innalzandolo di gradino in gradino, di mezzo metro in mezzo metro.
L’unico rumore è il tac metallico che fanno gli scarponi quando battono sugli attacchi, girati all’insù per sostenere il piede e impedirgli di cadere verso il basso, sulla base dello sci. Rumore regolare, come di metronomo, inesorabile, che scandisce l’ascesa. E anche l’ascesi, perché l’allenamento è perfino più mentale che fisico.
Tac, tac, tac.
Lo sguardo fisso, all’infinito, che è lì, prossimo: il bianco di una neve sempre uguale e sempre nuova, senza approdo né fine.
Silvio è un uomo-macchina. Anzi, una macchina umana, forgiata dalla fatica e dalla vita severa, fatta per andare in vetta a qualsiasi costo. Salendo, egli non cerca se stesso né di esprimersi o creare. Non vuole risposte e non ne offre. Non ha traguardi. Non sta andando da nessuna parte. Va in vetta per l’estasi che gli procura salire animalescamente la montagna. Solo comprendendo la pura irrazionalità che lo muove si trova la chiave per entrare nel suo mondo».