#boxing tapes
Un piumino per fare la polvere sul volto dell’avversario e altre frasi
sufficientemente memorabili per essere consegnate alla posterità.
Milano, caffè Colibrì, 24 aprile 2018.
Delli Carri – Sei stato uno dei pochi pugili a essere andato a combattere in America ad alto livello.
Lorenzo Zanon – E a essere tornato a casa vivo.
Lorenzo Zanon – A causa di un incidente automobilistico il mio destro era un piumino per fare la polvere sul volto dell’avversario. Sopperivo a questa mancanza di potenza con due cose: la velocità e l’intelligenza. Anche se all’inizio non la chiamavano intelligenza, ma paura. Perché io non accettavo la bagarre, toccavo e andavo via. I giornalisti, fino a quando non ho battuto un certo Evangelista, mi ritenevano un pugile fifone; dopo sono diventato un pugile tecnico, intelligente. Chi ha paura non può salire sul ring. Il pugile è una persona che non teme il proprio avversario. Lo rispetta, perché picchi tu ma picchia anche lui. Ecco perché i pugili sono persone che hanno rispetto per tutti, non solo per gli altri pugili. L’abbraccio alla fine del match, dopo tutti i cazzotti che ci siamo dati, è un abbraccio sincero, da uno che vuole bene, non da uno che odia.
Lorenzo Zanon – La storia dice che quando un picchiatore incontra un tecnico, nel 99 per cento delle volte vince il tecnico. Nonostante la fama, Holmes non era un picchiatore ma un grandissimo tecnico. Mi ha messo giù sette volte, perché mi prendeva sulla punta del mento, preciso. Io mi rialzavo lucido, e ricominciavamo a darcele. Nella pausa tra il quinto e il sesto round, il manager all’angolo mi ha detto: Guarda che i soldi ce li hanno dati, non rialzarti più che andiamo a casa. E così ho fatto.
Fausto Narducci – All’inizio degli anni Ottanta la Gazzetta dello sport aveva tre giornalisti che si occupavano solo di boxe. Da tre specialisti, oggi siamo arrivati a zero. Pensate che per i match più importanti, come i titoli mondiali in America, partivamo in trasferta due settimane prima.
Fausto Narducci – I momenti più belli della boxe sono quelli che precedono il match. L’allenamento, lo spogliatoio. Sono i momenti che conoscono in pochi. La boxe oggi sopravvive a livello cinematografico, pubblicitario, un po’ meno nell’attività effettiva. Tutti guardiamo a Mayweather, a Golovkin, ma la vera dimensione della boxe è quella degli scantinati, delle piccole palestre, del sudore.
Antonio Moscatiello – Io sono incazzato forte. Mi faccio il mazzo e guadagno poco. Mi raccontano che una volta con un titolo italiano compravi un appartamento. Oggi ti danno 5 mila euro. Ma per arrivarci, al titolo, devi farti in quattro. Si va avanti solo con la passione, almeno in Italia. In Germania, in Francia e in Inghilterra i pugili guadagnano bene. Gli unici soldi veri che ho guadagnato sono stati quelli del match con Malignaggi, a Londra. Però sono già finiti.
Lorenzo Zanon – Anche allora, che erano gli ultimi anni felici della boxe, se volevi guadagnare qualcosa per andare oltre al vivere quotidiano non era sufficiente il titolo italiano e neppure il titolo europeo. Dovevi andare a combattere in America, per certe sigle e contro certi personaggi.
Delli Carri – Erano ancora quindici riprese.
Lorenzo Zanon – Infelicemente, sì.
Lorenzo Zanon – Dicono che i pugili finiscono la carriera suonati dai pugni. Non è così. Quando accade, è perché qualcuno non ha protetto i ragazzi. Se sali sul ring preparato atleticamente e tecnicamente, la boxe non è pericolosa. I pugni non fanno male. Un pugno danneggia il cervello come fare un salto mortale. Hai la stessa oscillazione del cervello. Bisogna sfatare certi miti. Io tra novizi, dilettante e professionista ho fatto 119 match e non mi sono mai rotto il naso. Le mie tre figlie hanno giocato a basket e si sono rotte tutte e tre il naso. E allora?
Eddy Buttiglione – I pugni fanno bene. Io ho fatto lo sparring partner di Rocky Mattioli. Ce le siamo date di santa ragione, e siamo amici da 42 anni. Siamo più che fratelli. Il mio idolo è diventato il mio migliore amico.
Lorenzo Zanon – La boxe è lo sport dei poveri. Perché il povero, chi ha necessità, sa soffrire. Nella difficoltà stringe i denti e va avanti. Chi non ha bisogno, molla. Poi, diciamo la verità: uno un po’ furbo non fa la boxe. Sceglie un altro sport, magari in cui fai meno fatica e guadagni di più. Però, “Mamma sono arrivato uno” l’ha detto un ciclista.
Gian Maurizio Fercioni – Per me la boxe è una cosa antichissima. I casa mia la si praticava d’abitudine. Allora c’erano i Littoriali e mio padre e mio zio, un welter naturale e un superwelter, li avevano vinti e in casa, un bell’appartamento in corso Matteotti, a Milano, c’era la tradizione di boxare. A Natale veniva montato il ring in salone e ci sfidavamo. Io non sono nato povero, sono nato benestante, ma di colpo la mia famiglia, a parte le morti, non ha avuto più una lira. E lì è una cosa difficile da gestire. La boxe mi ha aiutato. Mi ha fatto diventare più aggressivo, più cattivo. Proprio in quel periodo ho vinto i regionali toscani. Boxavo lungo, colpivo andando indietro, ed ero cattivissimo. Mi avevano ventilato la possibilità di passare al professionismo. Poi incontrai un sardo che mi castigò, perché era piccolo e passava sotto i miei colpi. Mi prese al mento e andai giù. Quando mi tirai su, con la mano cercavo le corde senza trovarle, ma dall’avversario e dal pubblico il gesto venne preso come se stessi dicendo: “Dai fatti sotto”. Per fortuna suonò la campana. Quello, dopo avermi preso al mento, aveva strisciato il pugno fino al naso, da cui smoccolava sangue. Pendeva dalle narici anche una cosa bianca. Il maestro la prese e la tirò. Era la cartilagine. Un dolore della madonna. Mi asciugò e disse: “Adesso torna a lavorare”. Così lui definiva il fare la boxe: lavorare. Suonò il gong e io tornai a combattere. La boxe è questa roba qui. Vedere due pugili bravi fare i guanti… allora la boxe diventa una cosa armonica, bellissima. Quando sono bravi, i pugili vedono i colpi al ralenti. Ricordo un match di Leonard in cui lui e l’avversario a un certo punto sembravano allo specchio. Erano di un’armonia… I colpi precisi… Il pugilato è oltre lo sport. È un fatto poetico. Poi l’uomo mette tutto se stesso sul ring, nella maniera più nuda, quindi anche con le sue debolezze, che non sono mai la vigliaccheria, perché chi mette piede sul ring è uno che ha coraggio.
Lorenzo Zanon – La boxe mi ha dato tanto. Ma anche io ho dato tanto a lei.
Eddy Buttiglione – Io non mi ricordo il mio primo occhio nero, la mia prima costola rotta. Però mi ricordo le parole brutte che mi dicevano da bambino, quando avevo undici anni e pesavo 104 chili. Perché il bullismo non l’hanno inventato adesso. Si mettevano in quattro o cinque e mi menavano, io piangevo e la maestra diceva: “Grande e grosso e piangi?”. Poi li prendevo uno alla volta e li menavo io, e la maestra: “Grande e grosso e picchi i compagni?”.
Antonio Moscatiello – Per me la boxe è salvezza. Sono stato un anno e nove mesi in depressione. È nato tutto da un infortunio alla spalla. Mi sono detto: “Se non faccio la boxe, cosa faccio?”. Ho provato a fare qualcos’altro, ma stavo male. Poi ho ricominciato con gli allenamenti e adesso sono felice di nuovo e voglio arrivare al mondiale.
Eddy Buttiglione – C’è solo una cosa di cui mi pento, nella mia vita: essere passato professionista. Avrei dovuto rimanere dilettante. Perché avevo questo amore per la boxe che era molto più importante della fama e dei soldi. Il mio sogno non è mai stato quello di diventare un campione, ma di avere i due figli che ho, Stefano e Martina, che sono tutta la mia vita. Io non volevo essere un campione, volevo essere Eddy Buttiglione.
Lorenzo Zanon, ex pugile, peso massimo, 27 vittorie, sei sconfitte e tre pari tra il 1973 e l’81. Campione d’Italia e d’Europa (titolo conquistato contro Alfredo Evangelista), ha affrontato in America Ken Norton, Jerry Quarry e, per il titolo mondiale WBC pesi massimi, Larry Holmes. Boxrec
Antonio “Big” Moscatiello, pugile in attività, peso welter, 22 vittorie, tre sconfitte, un pari. Campione d’Italia, sfidante al titolo d’Europa contro Leonard Bundu. Ha debuttato nel 2008. Boxrec
Edmondo “Eddy” Buttiglione, ex pugile, peso medio, 20 vittorie, tre sconfitte e un pari tra il 1982 e l’87. Boxrec
Gian Maurizio Fercioni, scenografo, uno dei primi e più grandi tatuatori italiani di sempre. Queequeg
Fausto Narducci, capo redattore della Gazzetta dello sport.
Nelle fotografie: Lorenzo Zanon, Fausto Narducci, Antonio Moscatiello, Luca Delli Carri, Augusto Capitanucci, Gian Maurizio Fercioni, Jacopo Ghislanzoni, Eddy Buttiglione.