11.3.2016 Il Venerdì

Il Venerdì di Repubblica, 11 marzo 2016
La recensione d’autore
I DOLORI DEL VECCHIO PUGILE IN 12 ROUND
Un combattente immaginario, ma una storia molto realistica, anomala nel panorama italiano. E un nome che sarebbe piaciuto a Borges
di Raul Montanari
Come la guerra, la boxe è un soggetto narrativo potente, fatta com’è di conflitti, di umanità messa alla prova e di situazioni estreme; ma è anche uno sport che si è lasciato alle spalle i suoi anni gloriosi e sta scivolando fuori da ciò che è ammesso alla sensibilità comune. Che a poco a poco sta diventando osceno, nel senso proprio del termine. Forse per questo il bel romanzo di Luca Delli Carri, biografia dell’immaginario pugile Evaristo Gallego, spicca nel nostro panorama narrativo come un oggetto alieno, e si iscrive in una tradizione letteraria poco frequentata in Italia.
Evaristo Gallego (un nome che sarebbe piaciuto a Borges) è un peso massimo leggero e un quasi-campione, uno di quei pugili sfiorati ma mai abbracciati dal successo, la cui vita è fatta di chiaroscuri, di continui saliscendi fra le voragini della disperazione, la noia piatta delle attese e le vette dell’esaltazione. Gallego ha un buon curriculum; non è un rozzo randellatore ma un pugile tecnico e veloce, eppure la chance di entrare nel giro grosso, quello del mondiale, gli viene offerta tardi, all’età di trentotto anni.
La narrazione si snoda lungo dodici capitoli che simboleggiano i dodici round di un match, incantando anzitutto con la ricostruzione del mondo materiale in cui si muove il pugile: la palestra, il ring, gli oggetti, i gesti, i viaggi, i rituali corporei vengono descritti di prima mano, con un senso infallibile del dettaglio, ben lontano dalla vaghezza spesso rimproverata ai romanzieri italiani. Tutt’intorno ci sono i ricordi, le speranze, la rassegnazione e gli affetti di Gallego: il nipote anche lui pugile, l’allenatore, il manager. E i rapporti con il pianeta femminile, che oscillano fra il machismo d’obbligo e la galanteria impacciata di un guerriero feroce sul quadrato ma disarmato davanti alla donna, che sia la dolce Nadia che gli ha dato una figlia amatissima, o l’esplosiva e sensuale Anouchka, o le “professioniste”.
Le settecento pagine del romanzo di Delli Carri affrontano l’impresa di diventare metafora di ogni vita pur scavando ostinatamente dentro una vita, un’anima, un ambiente. E alla fine il narratore vince il suo match per conquistare il lettore, forse non per ko ma certamente ai punti, con verdetto unanime e convincente.