Il romanticismo freddo della Ferrari Primavera

BookCity 2019 – La Ferrari Primavera
presentazione di Alberto Saibene*
Fortunato chi non ha mai letto questo libro. Nel tempo è diventato un classico. Racconta le storie di cinque piloti del mondo delle corse, ma è un libro universale. Parla delle corse ma potrebbe riguardare qualunque ambiente. Grazie a un lungo lavoro di ricerca, alle tante interviste, al personaggio di Romolo Tavoni, il libro arriva a raccontare e interpretare la mente e il cuore dei piloti. Lo sport automobilistico, e lo sport in generale, è una sintesi della vita: tutte le cose accadono con maggiore evidenza e decisivo è il momento drammatico. È ciò che accade in questo libro: attorno alla tragedia, al momento della morte, si ricostruisce chi sono state queste persone, qual è stata l’epoca.
Le storie sono cinque, come i piloti di cui il libro parla. Alcuni sono dei playboy, altri, come Peter Collins, sono invece dei mariti innamorati, ma tutti in realtà sono innamorati o si innamorano. Di questi cinque piloti vengono raccontati gli ultimi momenti di vita, il coté sentimentale e familiare, in un’epoca che è in fondo l’ultima grande epoca romantica. Un’epoca in cui per correre, a parte rarissime eccezioni, bisogna provenire da un certo ambiente e, oltre a essere molto veloci, seguire dei codici, che sono i codici della cavalleria, poi passati in quale modo all’aviazione della prima e della seconda guerra mondiale e infine alla Formula 1 di quegli anni. Un’élite che ha regole proprie, un mondo cinico e romantico al tempo stesso. Un romanticismo alla Humphrey Bogart, freddo. Come la scrittura di Delli Carri, secca, essenziale, nella quale l’autore si concede momenti di pathos, ma raffreddati dall’uso della cronaca. Alla fine, se devo fare un nome, il nome è Hemingway. Quello de I quarantanove racconti.
C’è un filo che tiene insieme il libro ed è il dialogo in prima persona tra Delli Carri e Tavoni, dove Delli Carri non è solo funzionale al libro ma è egli stesso personaggio. Tavoni già allora era un grande vecchio: emiliano, braccio destro di Ferrari, un uomo che ha fatto la Resistenza, che ha vissuto le successive vendette personali contro i fascisti sotto la cupola del Partito comunista. Tavoni è la coscienza critica sia del libro quanto di un Luca Delli Carri ragazzo. Tavoni lo mette alla prova, lo sfida. Alza l’asticella a ogni incontro. Al tempo stesso, gli racconta il dietro le quinte, chi erano questi piloti, e soprattutto chi era Enzo Ferrari. Così viene fuori ciò che realmente è questo libro: un’indagine su Enzo Ferrari. Un giallo psicologico, alla Dürrenmatt, in cui l’indiziato è il Commendatore. Tanto che si può dire che il libro non sono cinque storie, ma una sola che ha cinque parti.
Ferrari in quegli anni sta costruendo la sua leggenda. In qualche modo lo è già, perché è stato pilota, poi direttore della scuderia dell’Alfa Romeo negli anni Trenta. Da qualche anno ha fondato la sua casa automobilistica, che produce macchine che sta perfezionando ma con cui ha già trionfato in Formula 1 e a Le Mans. Ferrari è un personaggio del quale a un certo punto nulla poteva essere detto: sui suoi amori, sulla sua spietatezza con i piloti, ma anche sulla sua genialità di costruttore. Luca Delli Carri, con molto coraggio, perché fino ad allora nessuno aveva mai affrontato il tema con questa volontà di chiarezza, rivela un po’ alla volta cosa c’è dietro Enzo Ferrari. Dopo di che, pur smontandolo, pur mostrando le sue debolezze, e anche le sue cattiverie, le sue vanità, alla fine del libro Ferrari resta un mito, la leggenda rimane tale, perché Ferrari resta più grande di ciò che Delli Carri scopre su di lui.
Poi naturalmente c’è l’amicizia tra i piloti, c’è il mondo degli anni Cinquanta, che è il mondo che precede quello di oggi, la fine del mondo di ieri. Le corse degli anni Cinquanta appartengono ancora all’epoca dei pionieri, dei Campari, dei Varzi. Gli anni Sessanta sono già gli albori delle corse moderne. In quegli anni, tra l’incidente di Le Mans del 1955 e la fine della Mille Miglia, nel 1957, si consuma un passaggio d’epoca. Ogni epoca è interessante, e anche gli anni Sessanta e Settanta lo sono: forse un po’ di meno, almeno sotto il profilo della composizione sociale che ruota intorno alle corse; ma gli anni Cinquanta sono come quegli stupendi film in bianco e nero da cui, quando li vediamo in televisione, non riusciamo a staccarci. Gli indisciplinati è la stessa cosa.
Molte delle persone che Luca Delli Carri ha incontrato e intervistato, l’elenco che c’è alla fine del libro, oggi sono morte, così il libro acquista un valore ancora maggiore: diventa la testimonianza raccolta dal vivo di un’epoca irripetibile. Perché il glamour di quegli anni, in particolare della figura di Portago, è il vero glamour, quello di Christian Dior, la vera eleganza, ovvero l’eleganza del gesto inutile, in qualche modo l’eleganza estrema.
Il libro ha una ricerca iconografica fantastica, con fotografie molto evocative, scelte una per una, bellissime. L’autore possiede anche il dono di scrivere bene le didascalie.
Questa nuova edizione ha un’introduzione che racconta il making of del libro, ed è molto godibile e al tempo stesso molto toccante. Queste pagine introduttive giustificano l’acquisto di una seconda copia se uno possiede già la prima edizione.
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AS Quello che mi colpisce è che tutti noi oggi conosciamo delle persone che hanno più di novant’anni e che vivono abbastanza bene. Gli indisciplinati potrebbero essere ancora tra noi.
LDC E invece sono tutti morti prima di compiere trent’anni, tranne Musso che ne aveva trentatré.
AS Il Luca Delli Carri ragazzo come veniva accolto dai protagonisti di un tempo? Come ti conquistavi la loro fiducia? In fondo tu chiedevi della loro vita, dei loro sentimenti. Segreti è una parola brutta, ma in fondo è questo.
LDC Le persone giungono a un momento della vita in cui hanno bisogno di raccontare. Forse capiterà anche a noi. Alcuni di loro avevano molto raccontato. Altri, come Tavoni, non l’avevano mai fatto. Quasi tutti si sono aperti in modo sorprendente. La maggior parte di loro non c’è più. Li ricordo con affetto. È stata una cosa speciale.
AS Qual è stata la reazione di Tavoni dopo che ha letto questo libro, in cui si arriva quasi al fondo dell’uomo, non solo del direttore sportivo della Ferrari ma dell’uomo Tavoni?
LDC Tavoni è il segreto di questo libro. Senza Tavoni non ci sarebbe stato il libro. E senza quel Tavoni, il libro non sarebbe stato lo stesso. Lui si è aperto completamente. Non l’aveva mai fatto, non l’ha più fatto. La sua prima reazione penso sia stata di vergogna, perché non aveva voluto leggere le bozze del libro. Glielo avevo proposto, ma lui aveva risposto che dovevo assumermi le mie responsabilità. Quando si è trovato il libro in mano, credo abbia avuto la sensazione di sentirsi nudo. Mi scrisse una lettera, dove diceva: Sei uno scrittore senza dizionario dei sinonimi e dei contrari. Perché io avevo usato un linguaggio crudo. Ma era ciò che cercavo. Io cercavo la vita. Questo libro ha dentro la vita e la morte, ma la morte si porta dietro la vita, la gioia di vivere.
AS Per questa epoca molto romantica, fatta di duri dal cuore d’oro, tu per antitesi hai scelto un linguaggio secco. L’aggettivazione che c’è e però è trattenuta, il tuo modo di andare a capo… Hai quest’arte di andare a capo, che rende scattante la scrittura, così i tuoi libri hanno un ritmo interno. È una scelta meditata?
LDC È il mio primo libro. La storia della Ferrari Primavera era una storia dimenticata, che ho scoperto parlando con Tavoni. Allora ho cominciato a pensare all’idea di poter scrivere un libro, nelle pause del lavoro giornalistico. Come Hans Ruesch, che ha scritto il suo primo libro, Il numero uno, nelle pause delle prove in pista. Il mio linguaggio di scrittore è nato con questo libro.
AS Questo si vede, in realtà. In questo libro felice c’è già Luca Delli Carri scrittore. Non rischi di passare come Moravia, che ha scritto Gli indifferenti nel ’29 e dopo cinquant’anni continuavano a dirgli che il suo libro migliore era il primo?
LDC Sarebbe peggio sperare di scrivere qualcosa di memorabile che non arriva.
AS Hai qualche rammarico rispetto a questo libro?
LDC Penso che non potrei più scrivere un libro così. Cercavo la verità e nient’altro. Raccontai tutto quel che sentivo di dover raccontare. Che è anche la bellezza del libro.
AS Conoscendoti, dico che forse lo rifaresti. E ora ricordo che una volta eravamo alla libreria Hoepli con il giornalista e poi scrittore Corrado Stajano, e tu gli dissi: Quello che vorrei fare è scrivere un libro che arriva al cuore di tutti. Il fatto è che lo avevi già fatto: Gli indisciplinati è un libro che arriva al cuore di tutti. Una persona non appassionata di corse viene conquistata dalla storia, dalla personalità dei protagonisti, da questi uomini che vedi agire e combattere tra loro. È un libro che appassiona, perché parla del senso, o del non senso, della vita. Sarebbe stato stupendo fare un film da questo libro. Costosissimo, non si farà mai. Ma sarebbe anche un’opera lirica fantastica. È il melodramma. Penso a Portago, il personaggio senza dubbio più cinematografico. O Castellotti, la cui vicenda sa incantare il pubblico femminile. Ecco, non vedere la trasposizione cinematografica de Gli indisciplinati sì, che può essere un vero rammarico.
* Alberto Saibene è uno storico della cultura italiana del XX secolo. Lavora tra editoria, cinema e organizzazione culturale. E autore di L’Italia di Adriano Olivetti (Edizioni di Comunità, 2017) e, per lo stesso editore, ha curato le antologie di scritti di Adriano Olivetti: Il mondo che nasce (2013) e Città dell’uomo (2015). È regista del film La ragazza Carla (2017), tratto dall’omonimo poema di Elio Pagliarini. Il suo ultimo libro è Il paese più bello del mondo (UTET, 2019).